martedì 30 maggio 2017
Ph: Pixabay.com
Un antico proverbio persiano racconta che “Il
giorno ha occhi. La notte ha orecchie.”
E’ nella penombra della sera che cerchiamo, infatti, il riposo
dagli affanni: il corpo apprezza il suo caldo giaciglio e la mente anela alla quiete.
Tuttavia, proprio quando ci accingiamo a poggiare la testa sul
cuscino e ci sembra che la stanchezza abbracci tutto il nostro essere, ecco che
un tintinnio nella mente si affaccia. Prima come un tenue brusio, poi come un
chiacchiericcio insistente: il buio della notte si rende ricettacolo di quel
rimuginare senza freno con cui ci tortura la mente ciarliera.
Per quale motivo, in quell’esatto momento, si affacciano paure,
ansie e inquietudini che, di giorno, se ne stanno timidamente nascoste nel
fondo della nostra coscienza?
Esausti arriviamo alla fine della notte e ci addormentiamo alle
luci dell’alba, quando invece un nuovo giorno ci aspetterebbe con in mano una
tazzina di caffè.
La notte è lo spazio in cui le nostre ombre avanzano indisturbate:
è il regno in cui legifera l’oscurità che spaventa la parte più razionale di
noi abituata a dirigere, controllare, tenere a freno e che prende decisioni. E’
la parte del pensiero cosciente, logico e lucido, che usiamo costantemente per
trovare soluzioni, rapportarci, per agire nella realtà.
Nel silenzio della notte quando potremmo lasciarci andare,
permettendo al nostro organismo di riposare, si affaccia la nostra ansia di
perdere il controllo.
Crediamo di poter risolvere ogni questione irrisolta col mero
ragionamento. Non si è abituati ad affidarci, a cedere il comando, affinché sia
la notte stessa a suggerirci il consiglio migliore all’orecchio dell’inconscio.
Come fare?
Innanzitutto credendo fermamente che la vita abbia in serbo
qualcosa di speciale: ogni fase porta un insegnamento per la nostra evoluzione
interiore. Potremmo accordare una tregua con la nostra malcelata presunzione di
sentirci il peso del mondo sulle spalle, abituati come siamo a dover trovare
una soluzione costi quel che costi: nel silenzio e nella pace del cuore la
notte dell’anima diverrebbe la nostra più forte alleata se solo le dicessimo
“sia quel che sia!”.
L’ignoto si colorerebbe di nuove energie: potremmo attingere all’infinito
serbatoio di idee, simboli, atmosfere, suoni e visioni che è la matrix della
coscienza universale.
Diamoci il permesso di allentare la presa.
Fuori di metafora, se stiamo attraversando un periodo tormentato, piuttosto
che una singola notte, bisogna limitarsi a semplificare il nostro percorso
cercando l’essenza di ogni cosa.
Quando si è sopraffatti dal dolore e dalla paura, difficilmente si
è in grado di osservarci dall’esterno: è uno impegno troppo grande da assolvere.
Allora, prima di tutto, si può ritornare al respiro che segnerà il ritmo naturale
dei nostri prossimi passi più misurati, calibrati e facilmente apprezzabili in
termini di sforzo.
La verità è che non abbiamo smarrito la via verso la felicità: abbiamo bisogno, semmai, di una nuova mappa per orientarci su un percorso
inaspettato, con altre peripezie, ma ricco di tante piccole gioie da scartare.
Le decisioni che dovremo prendere saranno, stavolta, in risonanza con le nostre
reali possibilità, secondo il grado di accettazione di ciò che ci spaventa: non
possiamo dominare la realtà come domatori di tigri, però possiamo renderci
abili a fermarci per governare la mente, per trovare le forze, risorse e aiuto
necessario a ripartire.
E’ come dover riprogrammare una logica assuefatta dall’abitudine:
prima bisogna disintossicarsi da ciò che ci ha inquinato il cuore, focalizzandosi
su nuovi pensieri, immagini e azioni positive; poi si potrà rileggere l’intera
esistenza sotto il riflettore della consapevolezza che ti dice: fai solo ciò che ti senti.
C’è un bel libro che vi consiglio di leggere su questo argomento.
E’ un romanzo, una favola moderna che narra di accettazione di sé,
del proprio dolore e di rinascita.
Lasciatevi condurre attraverso le sue pagine, come se il vento vi
accarezzasse l’anima…
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