mercoledì 22 marzo 2017

L’ESPLORAZIONE DEL MONDO INTERIORE




Paesaggio Montescudaio (Pi) - ph: Copyright di Sara Baldi

L’ascesa dell’essere umano alle vette spirituali è irta di ostacoli.
La conoscenza dell’universalità del proprio spirito si plasma tramite un percorso denso e conflittuale: la paura di abbandonare ciò che abbiamo conquistato e che ci consola, per avventurarsi, come un pellegrino, in luoghi ignoti ma così tremendamente attraenti, è ciò che maggiormente è di ostacolo alla volontà del neofita.
Per quanto gli attaccamenti, l’inerzia o la pigrizia mentale siano pietre che impediscono un passo serrato verso l’autocoscienza, l’Amore è di stimolo non soltanto alla speculazione filosofica, ma diviene fonte di ispirazione per tutti coloro che hanno detto sì al cammino di trasmutazione verso il Bene, quale Valore supremo fondante della vita.

L’Amore assoluto è ciò che dovrebbe spingerci a innalzare il nostro rapporto con il Mistero ad un livello più alto (in senso virtuoso) e più profondo (in senso introspettivo): la forza della preghiera contemplativa, ad esempio, risiede nel suo ringraziamento intimo per tutto ciò che abbiamo ricevuto e che abbiamo riconosciuto come un dono, anche se intriso di quella sofferenza purificatrice così cara all’animo di colui che vuole risanarsi dai desideri e dagli legami terreni. Esplorare il mondo che è dentro di noi richiede pazienza, calma e molta determinazione: nulla avviene per caso, ma solo grazie ad una intenzione sincera di conoscenza di sé.
La sofferenza che ne deriva, tempra ed è necessaria per animare quella forma di resistenza interiore che è madre dello sviluppo transpersonale e che ci libera da ciò che non serve più, per accogliere il mistero dell’Assoluto.
Fra le personalità che meglio hanno incarnato questo processo spirituale, voglio ricordare Rabindranath Tagore, autore indiano poliedrico, poeta e filosofo, che vinse il premio nobel nel 1913 per una raccolta di liriche, il Gitanjali, in cui i valori universali di solidarietà, pace e amore verso il prossimo abbracciano anche uno slancio mistico per la Verità suprema che tutto permea.
In uno dei suoi poemetti è riassunto il rapporto di amore con Dio che non è vissuto come qualcosa di astratto, bensì come un sentire travagliato, quasi un allenamento alla fede, e che si configura come una vera e propria rinascita interiore.
Leggerlo in silenzio ci sprona alla meditazione.

Molti sono i miei desideri
e pietoso è il mio canto
ma tu mi hai sempre salvato
con duri rifiuti
e questa tua potente misericordia
ha lasciato un segno profondo
nella mia vita.

Giorno per giorno mi rendi degno
dei semplici e grandi doni
non chiesti
che mi hai dato
- questo cielo e questa luce,
questo corpo, la vita e la mente -
salvandomi dai pericoli
di un desiderio troppo forte.

Ci sono momenti in cui
languidamente indugio
e momenti in cui
mi scruto e mi impegno
nella ricerca della mia meta.

Ma tu crudelmente
ti nascondi alla mia vista.
Giorno per giorno mi rendi degno
della tua piena accettazione
con rifiuti continui
e mi salvi dai pericoli
di un desiderio fiacco e confuso.

Tratta dal libro (clicca sul link) : Gitanjali, Rabindranath Tagore

Edit: Sara Baldi

sabato 18 marzo 2017

SOLTANTO ORA!




La preghiera è un fenomeno universale. E’ l’elevazione autentica dello spirito umano che cerca una risposta a tutte quelle domande rimaste a lungo taciute nel cuore.
La preghiera ha una dimensione antropologica, tant’è che è dalla notte dei tempi che ogni popolo ha rivolto al cielo una sua forma di invocazione o di ringraziamento all’Universo, a Dio o a quell’eterna fiamma da cui si ritiene l’anima sia discesa per incarnarsi sulla Terra.
Ciò che più di tutto suscita l’atto del pregare è il desiderio di accovacciarsi nel silenzio, in intima adorazione e profondo ascolto, indispensabili a poter vivere nella verità del proprio essere.
Oggi vi propongo una preghiera laica, commovente e altrettanto piena di speranza, ritrovata nel giubbotto di un soldato russo, Aleksandr Zacepa, che l’aveva scritta prima di morire in battaglia.  Fu poi pubblicata nel 1972 su una rivista clandestina.
Può considerarsi un testo ispirato, intenso e tragicamente umano: fu scritto da un uomo che non era credente, tuttavia in cerca del senso di ciò che stava vivendo.
Al centro della preghiera composta dalla sua mano spirituale, affranta dal dramma della paura, vi è la scoperta folgorante di Dio, la cui presenza di luce e amore libera il soldato, grazie ad un lampo di grazia che giunge dalla visione delle stelle, dal terrore dell’agonia e della morte che sta per sopraggiungere.

SOLTANTO ORA
Ascolta, o Dio!
Non una volta nella mia vita ho parlato con te,
ma oggi mi vien voglia di farti festa.
Sai, fin da piccolo mi hanno sempre detto che non esisti...
Io stupido ci ho creduto.
Non ho mai contemplato le tue opere,
ma questa notte ho guardato dal cratere di una granata
al cielo di stelle sopra di me
e affascinato dal loro scintillare,
ad un tratto ho capito come possa essere terribile l'inganno...
Non so, o Dio, se mi darai una mano,
ma io ti dico e tu mi capirai...
Non è strano che in mezzo a uno spaventoso inferno
mi sia apparsa la luce e io abbia scorto te?
Oltre a questo non ho nulla da dirti.
Sono felice solo perché ti ho conosciuto.
A mezzanotte dobbiamo attaccare,
ma non ho paura, tu guardi a noi.
E' il segnale! Me ne devo andare. Si stava bene con te.
Voglio ancora dirti, e tu lo sai, che la battaglia sarà dura:
può darsi che questa notte stessa venga a bussare da te.
E anche se finora non sono stato tuo amico,
quando verrò, mi permetterai di entrare?
Ma che succede, piango?
Dio mio, tu vedi quello che mi è capitato,
soltanto ora ho incominciato a veder chiaro...
Salve, mio Dio, vado... difficilmente tornerò.
Che strano, ora la morte non mi fa paura!



venerdì 17 marzo 2017

L’AMICIZIA SPRONA ALLA VIRTU’




Scaltrezza di visione, larghezza di opinione.
Quanto più siamo aperti alla conoscenza, tanto più ci rendiamo conto che il nostro sapere è limitato: leggere nei meandri della realtà richiede una buona dose di spirito critico. 
Tuttavia, come può formarsi il nostro personale spirito critico se non lo mettiamo mai in discussione, magari leggendo i pensieri di chi ha avuto prima di noi il coraggio di esporre il proprio?
La lettura ha lo scopo di aprire le nostre mente: nelle pagine di un libro si nascondono immagini cui possiamo interessarci e con le quali confrontarci in accalorate discussioni interiori.
Un libro diviene un buon amico, simile a quello vero: ti consente di ragionare, mettere in contraddizione aspetti dati per scontato o esplorare emozioni sopite. Come un buon amico, un libro alimenta la sensibilità e ci avvicina a scoprire, pagina dopo pagina, un pezzo in più del puzzle della nostra vita. C’è sempre qualcosa da comprendere.
Ed è proprio all’amicizia e alle sue virtù che è dedicato uno dei libri più belli della letteratura latina: il De Amicizia di Cicerone, scritto nel 44 a.C.
In un dialogo immaginario ambientato a pochi giorni dalla morte di Scipione Emiliano durante le agitazioni graccane, Lelio rievoca davanti ai membri del circolo degli Scipioni la figura dell'amico scomparso, aprendo una lunga dissertazione sul valore e le finalità dell'amicizia in se stessa.
Col tentativo di superare la tradizionale concezione romana dell'amicizia come serie di legami personali a scopo di favoritismo politico, Cicerone affida al Lelio il suo pensiero filosofico maturato negli anni di allontanamento dall'attività pubblica, spendendo parole poetiche sui fondamenti etici del sentimento che lega gli esseri umani.
La bellezza del testo, per quanto appartenente all’oratoria politica, è racchiusa nella sua saggezza antica, cui noi oggi possiamo fare appello per recuperare valori messi in discussione dalla nostra società narcisista e competitiva.

La vera amicizia può ancora risiedere in quella manciata di parole che Cicerone elencò come i quattro virtuosi ingredienti che costituiscono un sano rapporto di amicizia?
Virtus e probitasfides constantia.
Fides è la fiducia che si ripone concretamente nell'altro e che abbraccia sfumature di  probitas, ossia lealtà, e virtus intesa come moralità o rettitutine. La constantia è la fermezza nel perseguire la strada dell’onestà.
Viene dunque da domandarsi se sapremmo porre una riflessione accurata sul valore dell’amicizia, portando consapevolezza su come tali valori incidano sulla qualità intrinseca dei nostri rapporti. 
  • Ci siamo scelti come amici, persone che ci rispecchiano nei valori spirituali?
  • Ci sentiamo partecipi o fuggitivi dai rapporti amicali? 
  • L’amicizia ci nutre o la impoveriamo con le nostre attese? 
  • Sappiamo accettare l’amico nella sua integrità o vorremmo cambiarlo? 
  • Ci siamo sentiti traditi da qualcuno cui riponevamo troppe aspettative?

Se l’argomento vi ha incuriosito, vi invito alla lettura completa del libro da cui ho tratto questo breve brano (par. 83).
Ecco perché è un pericoloso errore quello di chi crede che nell’amicizia ci sia posto per ogni sorta di capricci o colpe. L’amicizia la natura ce l’ha data perché sproni la virtù, non come compagna dei vizi; ce l’ha data perché la nostra virtù, che da sola non può attingere il supremo bene, vi giunga strettamente congiunta alla virtù dell’amico.  E se esiste tra amici, o esistette mai o esisterà, una tale alleanza, essa è la migliore, bisogna convincersene, la più felice premessa per un cammino comune verso il supremo bene della natura. Questa è l’alleanza nella quale confluisce tutto quanto c’è di desiderabile per gli uomini (…) Perciò (ed è bene ripeterlo molto spesso!) bisogna affezionarsi dopo aver giudicato, e non giudicare dopo essersi affezionati.” (Per il libro clicca qui: De Amicizia, Cicerone).



martedì 14 marzo 2017

OLTRE LA GABBIA DELLA PAURA


Ph: Pixabay.com  di mariya_m

Come nella vita è impossibile non comunicare, altrettanto è raro non provare emozioni. 
La vita è attraversata da espressioni emotive, di variabile intensità, la cui gran parte è riconducibile alle sei biologicamente definite come primarie: la gioia, la tristezza, la paura, la rabbia, la sorpresa e il disgusto. Ogni giorno, dunque, siamo portatori di emozioni, espresse o represse. Oltretutto, quando la nostra giornata scorre in modo tedioso, cerchiamo di superare la noia (quando è occasionale, si tratta di un malessere transitorio che produce un senso di vuoto che ha radice nella tristezza) dedicandoci alla lettura o alla visione di un film che stimoli una dose di adrenalina o di divertimento, oppure cullandoci nei sentimenti nostalgici richiamati da una fotografia ingiallita.  
Le emozioni sono dunque fenomeni psichici che sembrano involontari o apparentemente privi di controllo: in realtà, come sostiene D.J Siegel, professore di Psichiatria all'Università della California, le emozioni sono stati di attivazione psicofisici indotti da stimoli esterni e che coinvolgono l’organismo, influenzando il modo con cui elaboriamo le informazioni nell’attribuire significati a tutto ciò che accade e che ci coinvolge.

In questa occasione, tra le sei sopra citate, voglio accennare all’emozione della paura che ci mette in guardia da un eventuale pericolo e funge da campanello di allarme per la nostra sopravvivenza, al fine di tutelare la specie: ad esempio, se ci trovassimo di fronte ad un leone che ruggisce, potremmo reagire decidendo di affrontarlo (azione di attacco) oppure di fuggire a gambe levate urlando a più non posso (azione di fuga). La terza possibilità è che potremmo simulare la nostra morte (azione di resa) o svenire in preda al terrore perché raggelati, scoraggiando forse il leone dall’aggredirci ma, ahimè, non dal mangiarci, visto che in lui verrebbe sì meno l’istinto del gioco (mi diverto prima di ucciderti), ma non di certo lo stimolo della fame!
Fintanto che si tratta di un’emozione passeggera, quale reazione ad un pericolo reale, la paura è necessaria. Il problema sorge se diventa patologica e fobica, come il reagire impulsivamente di fronte a quelli che crediamo pericoli (ma non lo sono) o da ciò che non conosciamo e che pensiamo potrebbe avvenire (ma non è detto che avvenga) e che ci crea l’ansia anticipatoria.
Esiste una vasta letteratura psicologica sull’argomento, che vi invito a cercare e a leggere.
Voglio solo soffermarmi sugli aspetti più spirituali, cioè su quanto la paura possa essere di ostacolo alla crescita interiore per emanciparci dall’egoismo e trasformarci in persone virtuose e compassionevoli.
Roberto Assagioli, padre della Psicosintesi, citò cinque forme principali di paura, indicando persino i mezzi per superarle tramite metodi psicologici e metodi spirituali:
  • l’istinto di conservazione che si basa sulla paura della morte;
  • l’impulso sessuale che ci spinge ad unirci per paura della solitudine e della fine della specie;
  • l’istinto gregario che sorge dalla paura della divisione nell’uomo che cerca sicurezza nel gruppo;
  • la tendenza all’autoaffermazione che nasce dalla bassa stima di sé e dalla paura di non essere apprezzati e amati quanto meriteremmo;
  • la tendenza ad indagare per superare la paura del mistero e dell’ignoto.
Se ci soffermiamo su ognuna di queste forme, potremmo risentirne risuonare alcune dentro di noi: il ricordo di situazioni in cui le abbiamo provate dovrebbe indurci a fare una riflessione gentile su quali aspetti della nostra personalità è necessario porre più attenzione per guarire, con l’obiettivo di manifestare le nostre qualità intrinseche senza limitazione alcuna. E’ importante ricordare che la paura è una gabbia in cui è imprigionata la nostra energia vitale: dobbiamo uscire dall’ignoranza, riconoscendo le cause e le condizioni che la provocano, per non incorrere più nello stato di sofferenza che alimenta altre emozioni distruttive, come il disgusto o la rabbia, dannose per noi stessi e per le persone che ci frequentano (sull’argomento, vedi Liberarsi dal veleno della rabbia). 

Se ci rendiamo conto che la paura ci condiziona la vita attraverso le sue manifestazioni più gravi, come l’ansia ricorrente che può sfociare in attacchi di panico, è bene prendere opportuni provvedimenti e rivolgersi ai terapeuti qualificati in ambito psicologico per iniziare un percorso di guarigione.
Resta inteso che dal punto di vista spirituale, il cuore della pratica della consapevolezza risiede non solo nella meditazione, ma anche nell’osservazione quotidiana di ciò che avviene in noi, sia nel corpo che nella mente: il saper distinguere le emozioni, riuscire a identificarne gli effetti dentro il corpo e le ricadute nella realtà, ci invita a manifestare maggiore comprensione verso la sofferenza altrui, ci sprona ad essere più empatici proprio perché la coscienza di essere umani, e quindi imperfetti, allena una utilissima abilità nei rapporti interpersonali, cioè quella dell’intelligenza emotiva.

Su questo argomento (clicca sul link):



martedì 7 marzo 2017

LA LETIZIA E’ A PORTATA DI RESPIRO

Ph: Pixabay  JillWellington
 

Se c’è una cosa che diamo per scontato, è il nostro cuore.
Non lo ringraziamo mai per lo strenuo lavoro che svolge, scandendo con i suoi battiti il ritmo della nostra vita.  Essendo un muscolo involontario, non ci preoccupiamo molto del suo stato, se non nel momento in cui la sua continuità venga spezzata da una causa imprevedibile come una aritmia da sforzo, da malattia o da shock.
Grazie alla sua opera energetica, noi possiamo dare ossigeno al nostro corpo ed espellere l’anidride carbonica. Il cuore è l’artefice del respiro che è il nutrimento della vita: ne segna l’inizio, ci accompagna come un fedele compagno per tutta la nostra esistenza e l’ultimo segna la fine del nostro percorso terreno. Sarà dunque importante?
Pur effettuando una media di 23 mila respirazioni al giorno, siamo propensi a non prestare attenzione al modo con cui ingeriamo l’aria, al contrario invece di quanto beviamo o mangiamo, spesso in quantitativo eccessivo: solo un bambino appena nato riproduce il movimento corretto della respirazione. Man mano che diveniamo adulti, il respiro si riduce e il fiato si accorcia, a causa della pressione e delle situazioni problematiche che ci turbano l’esistenza.

Ti sei mai accorto di come respiri?

Il respiro, pur essendo meccanico, può essere controllato con la volontà: le attuali tecniche di respirazione, spesso tratte dalle antiche tradizioni Yoga orientali, sono metodi efficaci che ci insegnano a ripristinare una respirazione ritmica buona a favorire la guarigione fisica, ad aumentare le difese immunitarie ed a conoscere meglio se stessi. Infatti per sentirsi in equilibrio e sicuri, non dobbiamo cercare appoggi esterni a noi che, in qualunque momento, potrebbero venire a mancare: bensì è necessario ritrovare il centro in noi stessi, proprio ripartendo dal nostro respiro.

L’osservazione dell’inspirazione e dell’espirazione ci aiuta a mantenerci fedeli ad una personale “misura interiore”: possiamo sentire, infatti, come la cassa toracica si nutre di aria e la espelle, né troppo poca né in eccesso; ci rendiamo conto di come l’aria si appoggi agli organi interni e si facci leva sulla schiena, determinando tutta una serie di piccoli movimenti che coinvolgono ogni elemento del nostro essere. 
Come l’ingranaggio di un orologio è costituito da miriadi di piccoli e delicati elementi che si muovono gli uni sugli altri, così avviene all’interno di noi: l’accorgerci di come ogni organo collabori per il benessere e l’equilibrio dell’intero corpo ci responsabilizza, indirizzandoci a scegliere stili di vita più adeguati al nostro sentire interiore, più in linea con la lentezza e l’armonia che tanto sono indispensabili a mantenerci radicati, consapevoli e virtuosi. Soprattutto, sani e gioiosi come quando eravamo bambini nel rincorrere gli aquiloni che si libravano in cielo.
Dobbiamo pensare al nostro respiro come se fosse un liutaio che deve accordare uno strumento delicato, rappresentato dal trinomio corpo – mente - anima: più si affina l’ascolto interiore, è migliore sarà la prestazione dello strumento che suonerà in concerto con gli altri. Avere cura del nostro respiro è il primo passo per la consapevolezza di sé e del nostro ruolo nel mondo.

Sull'argomento ti consiglio questa lettura (clicca nel link):
Respiro per respiro. La pratica liberatoria della consapevolezza, di Larry Rosemberg

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