- Ci siamo scelti come amici, persone che ci rispecchiano nei valori spirituali?
- Ci sentiamo partecipi o fuggitivi dai rapporti amicali?
- L’amicizia ci nutre o la impoveriamo con le nostre attese?
- Sappiamo accettare l’amico nella sua integrità o vorremmo cambiarlo?
- Ci siamo sentiti traditi da qualcuno cui riponevamo troppe aspettative?
venerdì 17 marzo 2017
Scaltrezza
di visione, larghezza di opinione.
Quanto
più siamo aperti alla conoscenza, tanto più ci rendiamo conto che il nostro
sapere è limitato: leggere nei meandri della realtà richiede una buona dose di
spirito critico.
Tuttavia, come può
formarsi il nostro personale spirito critico se non lo mettiamo mai in
discussione, magari leggendo i pensieri di chi ha avuto prima di noi il
coraggio di esporre il proprio?
La
lettura ha lo scopo di aprire le nostre mente: nelle pagine di un libro si
nascondono immagini cui possiamo interessarci e con le quali confrontarci in
accalorate discussioni interiori.
Un
libro diviene un buon amico, simile a quello vero: ti consente di ragionare,
mettere in contraddizione aspetti dati per scontato o esplorare emozioni
sopite. Come un buon amico, un libro alimenta la sensibilità e ci avvicina a
scoprire, pagina dopo pagina, un pezzo in più del puzzle della nostra vita. C’è
sempre qualcosa da comprendere.
Ed
è proprio all’amicizia e alle sue virtù che è dedicato uno dei libri più belli della
letteratura latina: il De Amicizia di Cicerone, scritto nel 44 a.C.
In
un dialogo immaginario ambientato a pochi giorni dalla morte di Scipione
Emiliano durante le agitazioni graccane, Lelio rievoca davanti ai membri del
circolo degli Scipioni la figura dell'amico scomparso, aprendo una lunga
dissertazione sul valore e le finalità dell'amicizia in se stessa.
Col
tentativo di superare la tradizionale concezione romana dell'amicizia come
serie di legami personali a scopo di favoritismo politico, Cicerone affida al
Lelio il suo pensiero filosofico maturato negli anni di allontanamento dall'attività
pubblica, spendendo parole poetiche sui fondamenti etici del sentimento che
lega gli esseri umani.
La
bellezza del testo, per quanto appartenente all’oratoria politica, è racchiusa nella
sua saggezza antica, cui noi oggi possiamo fare appello per recuperare valori
messi in discussione dalla nostra società narcisista e competitiva.
La
vera amicizia può ancora risiedere in quella manciata di parole che Cicerone
elencò come i quattro virtuosi ingredienti che costituiscono un sano rapporto
di amicizia?
Virtus e probitas, fides
e constantia.
Fides è
la fiducia che si ripone concretamente nell'altro e che abbraccia sfumature di probitas,
ossia lealtà, e virtus intesa come moralità
o rettitutine. La constantia
è la fermezza nel perseguire la strada dell’onestà.
Viene
dunque da domandarsi se sapremmo porre una riflessione accurata sul valore dell’amicizia,
portando consapevolezza su come tali valori incidano sulla qualità intrinseca
dei nostri rapporti.
Se
l’argomento vi ha incuriosito, vi invito alla lettura completa del libro da cui
ho tratto questo breve brano (par. 83).
“Ecco perché è un pericoloso errore quello di
chi crede che nell’amicizia ci sia posto per ogni sorta di capricci o colpe. L’amicizia
la natura ce l’ha data perché sproni la virtù, non come compagna dei vizi; ce l’ha
data perché la nostra virtù, che da sola non può attingere il supremo bene, vi
giunga strettamente congiunta alla virtù dell’amico. E se esiste tra amici, o esistette mai o
esisterà, una tale alleanza, essa è la migliore, bisogna convincersene, la più
felice premessa per un cammino comune verso il supremo bene della natura.
Questa è l’alleanza nella quale confluisce tutto quanto c’è di desiderabile per
gli uomini (…) Perciò (ed è bene ripeterlo molto spesso!) bisogna affezionarsi
dopo aver giudicato, e non giudicare dopo essersi affezionati.” (Per il libro clicca qui: De Amicizia, Cicerone).
Edit: Sara Baldi
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