- l’istinto di conservazione che si basa sulla paura della morte;
- l’impulso sessuale che ci spinge ad unirci per paura della solitudine e della fine della specie;
- l’istinto gregario che sorge dalla paura della divisione nell’uomo che cerca sicurezza nel gruppo;
- la tendenza all’autoaffermazione che nasce dalla bassa stima di sé e dalla paura di non essere apprezzati e amati quanto meriteremmo;
- la tendenza ad indagare per superare la paura del mistero e dell’ignoto.
martedì 14 marzo 2017
Ph: Pixabay.com di mariya_m
Come
nella vita è impossibile non comunicare, altrettanto è raro non provare
emozioni.
La
vita è attraversata da espressioni emotive, di variabile intensità, la cui gran
parte è riconducibile alle sei biologicamente definite come primarie: la gioia,
la tristezza, la paura, la rabbia, la sorpresa e il disgusto. Ogni giorno,
dunque, siamo portatori di emozioni, espresse o represse. Oltretutto, quando la
nostra giornata scorre in modo tedioso, cerchiamo di superare la noia (quando è
occasionale, si tratta di un malessere transitorio che produce un senso di
vuoto che ha radice nella tristezza) dedicandoci alla lettura o alla visione di
un film che stimoli una dose di adrenalina o di divertimento, oppure cullandoci
nei sentimenti nostalgici richiamati da una fotografia ingiallita.
Le
emozioni sono dunque fenomeni psichici che sembrano involontari o
apparentemente privi di controllo: in realtà, come sostiene D.J Siegel, professore
di Psichiatria all'Università della California, le emozioni sono stati di
attivazione psicofisici indotti da stimoli esterni e che coinvolgono
l’organismo, influenzando il modo con cui elaboriamo le informazioni
nell’attribuire significati a tutto ciò che accade e che ci coinvolge.
In
questa occasione, tra le sei sopra citate, voglio accennare all’emozione della
paura che ci mette in guardia da un eventuale pericolo e funge da campanello di
allarme per la nostra sopravvivenza, al fine di tutelare la specie: ad esempio,
se ci trovassimo di fronte ad un leone che ruggisce, potremmo reagire decidendo
di affrontarlo (azione di attacco) oppure di fuggire a gambe levate urlando a
più non posso (azione di fuga). La terza possibilità è che potremmo simulare la
nostra morte (azione di resa) o svenire in preda al terrore perché raggelati, scoraggiando
forse il leone dall’aggredirci ma, ahimè, non dal mangiarci, visto che in lui
verrebbe sì meno l’istinto del gioco (mi diverto prima di ucciderti), ma non di
certo lo stimolo della fame!
Fintanto
che si tratta di un’emozione passeggera, quale reazione ad un pericolo reale, la
paura è necessaria. Il problema sorge se diventa patologica e fobica, come il
reagire impulsivamente di fronte a quelli che crediamo pericoli (ma non lo
sono) o da ciò che non conosciamo e che pensiamo potrebbe avvenire (ma non è
detto che avvenga) e che ci crea l’ansia anticipatoria.
Esiste
una vasta letteratura psicologica sull’argomento, che vi invito a cercare e a
leggere.
Voglio
solo soffermarmi sugli aspetti più spirituali, cioè su quanto la paura possa
essere di ostacolo alla crescita interiore per emanciparci dall’egoismo e trasformarci
in persone virtuose e compassionevoli.
Roberto
Assagioli, padre della Psicosintesi, citò cinque forme principali di paura, indicando
persino i mezzi per superarle tramite metodi psicologici e metodi spirituali:
Se
ci rendiamo conto che la paura ci condiziona la vita attraverso le sue manifestazioni
più gravi, come l’ansia ricorrente che può sfociare in attacchi di panico, è
bene prendere opportuni provvedimenti e rivolgersi ai terapeuti qualificati in
ambito psicologico per iniziare un percorso di guarigione.
Resta
inteso che dal punto di vista spirituale, il cuore della pratica della consapevolezza
risiede non solo nella meditazione, ma anche nell’osservazione quotidiana di
ciò che avviene in noi, sia nel corpo che nella mente: il saper distinguere le
emozioni, riuscire a identificarne gli effetti dentro il corpo e le ricadute nella
realtà, ci invita a manifestare maggiore comprensione verso la sofferenza
altrui, ci sprona ad essere più empatici proprio perché la coscienza di essere
umani, e quindi imperfetti, allena una utilissima abilità nei rapporti
interpersonali, cioè quella dell’intelligenza emotiva.
Su
questo argomento (clicca sul link):
Edit: Sara Baldi
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